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sabato 14 settembre 2019

settembre 14, 2019

#LeOreconTolkien: creare un intero universo con "Le due torri"

Giunge un po' in ritardo il secondo appuntamento con #LeOreconTolkien, in cui ti aggiorno più che posso sulla lettura dei tre volumi de Il Signore degli Anelli (ti reindirizzo a questo primissimo articolo in cui ti spiego il progetto).

Se l'effetto di essermi avvicinata a questo grande romanzo dopo Lo Hobbit era stato disorientante e impegnativo, con la lettura del secondo volume (The Two Towers) sono andata verso un netto miglioramento della situazione.

Non ti nascondo che intraprendere la lettura di questo grande romanzo in inglese non è cosa facile, perché per quanto possa conoscere e maneggiare la lingua mi risulta sempre più complesso tenere alta la concentrazione durante la lettura, soprattutto se si tratta di Tolkien. Non è impossibile, ma è comunque impegnativo come leggere qualsiasi libro in qualsiasi altra lingua che non sia la nostra.

Il problema non è stato comunque la lingua, se non per il fatto che mi sono presa più tempo per leggere tutto con attenzione, perché questo secondo volume, al contrario del primo, è decisamente più complesso sotto vari punti di vista.


La struttura narrativa del secondo volume

Il volume si apre con il Libro III con il quale ci accorgiamo di un elemento che ritroveremo da ora per tutto il romanzo, ovvero la divisione tra la narrazione del percorso di ciò che rimane della Compagnia dell'Anello - Aragorn, Legolas e Gimli, ai quali poi si uniranno Pipino, Merry e Gandalf - e la narrazione del percorso di Frodo e Sam. Quindi, non ci troviamo di fronte ad una narrazione sullo stile di Manzoni, in cui le avventure separate dei personaggi si intrecciano nella narrazione di uno stesso capitolo, bensì proprio il contrario.

Un tipo di narrazione come quella che Tolkien ha deciso di usare ne Il Signore degli Anelli Ã¨ di sicuro più impegnativa, soprattutto nel Libro III. Se nel volume de La compagnia dell'Anello il lettore si era trovato di fronte ad un continuo movimento dell'azione alternato a profonde riflessioni da parte dei personaggi - vedi ne Il consiglio di Elrond -, nel Libro III de Le due torri troviamo inizialmente poca azione e molte, moltissime riflessioni. Il personaggio più tormentato in questo momento è sicuramente Aragorn, il quale sente pesare su di sé non solo la responsabilità della buona riuscita della missione da parte di Frodo ma anche il salvataggio dei due hobbit, Merry e Pipino, caduti nelle mani degli orrendi Uruk-hai, gli orchi di Saruman.

Verso la fine di questo Libro III l'azione torna al suo apice in due dei momenti più belli del secondo volume: la battaglia del Fosso di Helm - la prima, epica descrizione di una battaglia dell'intero romanzo - e l'incontro con Saruman sconfitto nella sua Isengard ormai distrutta dagli Ent. Riporto qui sotto due passi tratti dal capitolo "Helm's Deep", "Il fosso di Helm", nel quale viene narrata la famosa battaglia.

"The sky was now quickly clearing and the sinking moon was shining brightly. But the light brought little hope to the Riders of the Mark [la battaglia è combattuta in piena notte, elemento che arricchisce la narrazione di epicità e tumulto dello sconosciuto]. [...] Orcs and hillmen swarmed about its feet from end to end. Ropes with grappling hooks were hurled over the parapet faster than men could cut them or fling them back."

"Il cielo schiariva rapidamente e la luna che si accingeva a coricarsi brillava intensamente. Ma la luce portò poca speranza ai Cavalieri del Mark. [...] Orchi e Uomini delle montagne brulicavano da un'estremità all'altra della cinta. Corde con ramponi venivano lanciate al di qua del parapetto con tale destrezza e rapidità che i combattenti non facevano in tempo a tagliarle né a respingerle."

Per citare il titolo di un famoso film di qualche anno fa...e alla fine arriva Gandalf:

"There suddenly upon a ridge appeared a rider, clad in white, shining in the rising sun. Over the low hills the horns were sounding. Behind him, hastening down the long slopes, were a thousand men on foot; their swords were in their hands. Amid them strode a man tall and strong. His shield was red. As he came to the valley's brink, he set to his lips a great black horn and blew a ringing blast."

"Ivi improvvisamente su una cresta apparve un cavaliere biancovestito, e splendente nel sole appena nato. Sui colli più bassi squillavano corni. Sui lunghi declivi alle sue spalle arrivavano a piedi mille Uomini brandendo la spada. Fra loro incedeva un Uomo alto e possente. Il suo scudo era rosso. Giunto all'orlo della vallata, si portò alle labbra un grande corno nero e ne trasse uno squillo vibrante."

Nel Libro IV l'azione è diluita in maniera più movimentata nella narrazione ed è qui che i lettori iniziano a rendersi conto del fardello che Frodo deve portare fino al Monte Fato. E' come se la narrazione di questo peso che inizia a farsi sentire sia riflessa nelle lande desolate che Frodo, Sam e Gollum - che si è unito a loro all'inizio del libro - attraversano.

Un'attenzione particolare ai personaggi


Per quel che riguarda il Libro IV, ma più in generale tutto il secondo volume, uno dei temi ricorrenti nella narrazione è sicuramente quello della crescita dei personaggi. Molti di loro prendono sempre più coscienza di loro stessi, delle loro capacità e responsabilità via via che il viaggio si fa sempre più complesso.

Aragorn, ad esempio, ha un ruolo secondario rispetto a Gandalf in termini di guida fino alla caduta del mago alle Grotte di Moria. Ne Le due torri, invece, Aragorn è costretto a fare i conti con le sue responsabilità come guida di un gruppo, il che lo porterà ad una consapevolezza tale da poter assumere le sembianze proprie di un Re nell'ultimo volume.

Anche un altro personaggio di minor "statura" intraprende lo stesso cammino. Parlo di Samvise Gamgee, il cui apice di maturazione verrà però raggiunto nel terzo volume, nel quale il personaggio dovrà confrontarsi con pericoli e responsabilità molto importanti. La scena più toccante in cui Sam è indiscusso protagonista è quella in cui Sam si accascia in lacrime sul corpo apparentemente senza vita di Frodo - trafitto da Shelob - e inizia a chiedersi cosa avrebbe dovuto fare e se proseguire il cammino senza il suo padrone. Il susseguirsi di domande e riflessioni che Sam costruisce nelle pagine successive è a tratti anche comico ma rende alla perfezione la maturazione - esplicita - di questo ingenuo ma fondamentale personaggio.

Tra i personaggi più interessanti di questo secondo volume c'è sicuramente Faramir, che Frodo e Sam incontrano nel Libro IV. L'incontro segna un punto molto importante nella narrazione delle vicende dell'anello: Faramir è il fratello di Boromir, morto subito dopo essere caduto in tentazione e aver desiderato l'anello mettendo a rischio anche la vita di Frodo. In modo molto scaltro Faramir capisce che Frodo nasconde un segreto e, attraverso delle domande mirate, scopre dell'anello. Al contrario di Boromir, però, Faramir per quanto attratto non cede alla tentazione di possederlo e prende, inconsapevolmente, le distanze dal fratello. Pur essendo molto simili fisicamente - al punto che a Pipino per un momento sembra di vedere proprio Boromir - i due fratelli presentano sostanziali differenze caratteriali: Boromir cede alla tentazione dell'anello perché forse troppo ambizioso, al contrario di Faramir che non solo non desidera quella gloria decantata dal fratello ma rivela una nobiltà d'animo che Tolkien descrive in questo modo:
"[...] whatever be his descent from father to son, by some chance the blood of Westernesse runs nearly true in him [Gandalf parla di Denethor, padre di Boromir e Faramir]; as it does in his other son, Faramir, and yet did not in Boromir whom he loved best."
"[...] quali che siano i suoi avi e i suoi padri, per uno strano caso il sangue dell'Ovesturia scorre quasi puro nelle sue vene e in quelle dell'altro suo figlio, Faramir; non così invece in quelle di Boromir, che pur era il suo preferito."
La citazione vuole sottolineare non tanto una discendenza di sangue effettivamente esistente, quanto l'integrità e il valore degli uomini di Númenor (Westernesse) che scorre anche nel sangue di Faramir.
La nobiltà d'animo del personaggio viene dimostrata nel momento in cui rifiuta l'anello:

"But fear no more! I would not take this thing, if it lay by the highway. Not were Minas Tirith falling in ruin and I alone could save her, so, using the weapon of the Dark Lord for her good and my glory. No, I do not wish for such triumph, Frodo son of Drogo."

"Ma non avere più timore! Io non m'impadronirei di codesto oggetto, neppure se lo trovassi lungo la strada, neppure se Minas Tirith stesse cadendo in rovina e io solo potessi salvarla, usando così l'arma dell'Oscuro Signore per il bene della mia città e per la mia gloria. No, non desidero tali trionfi, Frodo figlio di Drogo."

Le lingue della Terra di Mezzo

Le due torri segna un passaggio importante anche per quel che riguarda la creazione di un'intero universo da parte di Tolkien. A mano a mano che si va avanti con la lettura si iniziano a notare differenze sostanziali nelle descrizioni che vengono fatte della Terra di Mezzo: come in universo verosimile, le terre e i popoli che la abitano si caratterizzano per linguaggio, usi e costumi. Il primo aspetto è quello che ho trovato più interessante e che avevo notato già durante la lettura del primo volume, nel quale si possono vedere le differenze linguistiche tra i popoli che abitano la Terra di Mezzo da un punto di vista scritto - vedi l'incisione nell'Anello che Gandalf spiega essere scritta nella lingua di Mordor, il Linguaggio Nero (Black Speech).

Ne Le due torri i diversi linguaggi e le differenze tra essi vengono alla luce nel loro uso abituale, ovvero ne facciamo esperienza attraverso gli stessi personaggi. Si iniziano a notare non solo veri e propri linguaggi finzionali creati ad-hoc da Tolkien, ma a livello narrativo l'autore riesce a trasformarli nei vari aspetti linguistici dell'inglese moderno o quello più antico. Mi spiego meglio:

Da un punto di vista della struttura della storia, nelle Appendici Tolkien si pone come autore "finzionale", colui che ha tradotto il famoso Libro Rosso scritto prima da Bilbo, poi completato da Frodo, curato da Sam e tramandato dai discendenti di Pipino e Merry fino ai giorni nostri. Il Tolkien "autore finzionale" spiega nell'Appendice F.II A proposito della traduzione che nel riportare a noi lettori la storia ha dovuto lavorare sul testo originale e tradurlo nell'inglese moderno, rispettando le varie sfumature linguistiche.

Ecco che gli Hobbit parlano il Common Speech (Lingua Corrente), una lingua traslitterata nell'inglese moderno. Nell'Appendice F.II A proposito della traduzione Tolkien ci dice che:

"In questo processo la differenza fra i diversi tipi di Ovestron (Westron) si è inevitabilmente affievolita, malgrado i tentativi di rappresentare tali differenze con variazioni nella nostra lingua; ma la divergenza fra pronuncia e idioma della Contea e Ovestron parlato dagli Elfi o dagli alti Uomini di Gondor era assai maggiore di quanto non risulti da questo libro. Gli Hobbit infatti parlavano per lo più un dialetto rustico, mentre a Gondor e a Rohan era in uso un linguaggio più antico, più puro e formale."
L'inglese dei nani, ovvero il Common Speech che essi parlano in presenza di altre razze, presenta un enunciato "gutturale" e molto aspro; il linguaggio di Rohan assomiglia ad un inglese antico e formale perché come ci dice Tolkien "era abbastanza vicino alla Lingua Corrente e strettamente collegato all'antica lingua degli Hobbit settentrionali, e simile in qualche modo all'arcaico Ovestron."

Il Tolkien autore "vero" (quello esterno al testo, non più finzionale) ha invece creato un vero e proprio impianto linguistico sul quale si appoggia un universo intero. Le lingue che l'autore ha creato sono così ben costruite e articolate anche a livello grammaticale o morfologico da essere del tutto verosimili.


Le traduzioni dei passaggi citati o quelli direttamente riportati in italiano fanno riferimento a J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, Bompiani, 2011. L'edizione è curata da Quirino Principe, l'introduzione è di Elémire Zolla e la traduzione di Vicky Alliata di Villafranca (con la quale non concordo su alcune scelte traduttive, ma questo è tutto un altro discorso...)

martedì 16 luglio 2019

luglio 16, 2019

#LeOreconTolkien: impressioni e curiosità su "La compagnia dell'Anello"

Dopo una serie di tentennamenti iniziali, sono riuscita con successo a terminare The Fellowship of the Ring (La compagnia dell'Anello) dopo un mese esatto dal giorno di inizio. Oggi ti racconto le impressioni di questa prima lettura in inglese e approfondisco alcuni degli aspetti che mi sono sembrati interessanti a primo impatto.


Passare dalla lettura di Lo Hobbit a quella de Il Signore degli Anelli Ã¨ stato abbastanza impegnativo poiché tra i due romanzi c'è uno scarto ben visibile in termini di complessità della narrazione. Il primo romanzo è più semplice non solo per quel che riguarda la storia ma anche per il modo in cui questa viene raccontata. Ne Il signore degli Anelli, invece, la faccenda si complica ma allo stesso tempo si arricchisce di dettagli, personaggi, trama e finisce per arrivare più in profondità per quel che riguarda l'infinità di tematiche affrontate.

Prime impressioni sulla lettura

E' vero, mi sono un po' lamentata all'inizio perché il libro era alquanto lento in partenza. Diciamo che seguire Frodo, Pipino e Sam che vagano curiosamente tra i boschi della Contea non è proprio entusiasmante, soprattutto se è proprio quello il momento in cui inizi a odiare il protagonista. Ebbene sì, a fine lettura del primo volume ammetto con una certa soddisfazione che Frodo è uno di quei protagonisti che vorrei strangolare ma che, alla fine, ti fa desistere dal farlo. Mi sono interrogata su questo mio odio viscerale nei suoi confronti e mi sono informata, perché credevo avesse a che fare proprio con il tipo di personaggio che Frodo incarna, ed effettivamente è così. 

Il personaggio di Frodo è costruito alla perfezione e riprende, come mi è stato confermato da più parti, il tipico protagonista legato al fardello che si porta dietro, in questo caso l'anello. Quest'ultimo condiziona, in qualche modo, il suo comportamento e le sue decisioni e lo rende particolarmente detestabile agli occhi di un lettore che patteggia, invece, per un personaggio più umano come Samwise Gamgee. In effetti, all'inizio del romanzo quando l'Anello era ancora custodito dal vecchio Bilbo, Frodo mi era parso più simpatico proprio perché più simile all'umanità e alla sconfinata bontà d'animo di Sam; una volta messosi il fardello al collo, di Frodo e della sua simpatia nessuno ha più avuto notizia. 

A proposito dell'Anello: sono rimasta estasiata dal labirinto di storie che Tolkien è riuscito a creare attorno alla trama principale del libro e che si sviluppa progressivamente pagina dopo pagina. L'universo Tolkieniano della Terra di Mezzo diventa realtà mano a mano che ne apprendiamo la storia, gli eventi del passato, i grandi popoli che la hanno abitata in passato e che la abitano ora. Nel profondo, ci chiediamo tutti se da qualche parte gli elfi stiano ancora vivendo in boschi inaccessibili o cosa stiano preparando di buono per colazione gli Hobbit della Contea. Insomma, Tolkien ha reso vero - e non verosimile, altrimenti non avrebbe funzionato - un mondo inventato del quale non sapremo mai abbastanza. E un po', per questo, lo odio, perché sarò costretta a leggerne all'infinito.

All'interno di questo universo si muovono dei personaggi che accompagnano Frodo nella sua anti-ricerca per quale egli è colui che deve distruggere un oggetto e non ritrovarlo. Le relazioni che si instaurano tra questi personaggi sono molto forti e profonde e anche molto toccanti in alcuni casi. Il fatto che Tolkien si muova comunque in uno schema abbastanza prestabilito che è quello delle saghe antiche - e Aragorn, in certi casi, è l'emblema di quegli eroi caduti - non rende la narrazione per niente pesante. Ci sono delle descrizioni di alcuni personaggi che mi hanno lasciata a bocca aperta, tra cui quelle di Aragorn e di Galadriel.

Un'ultima postilla per chi pensa che aver letto prima Lo Hobbit mi abbia "rovinato" la lettura de Il Signore degli Anelli: posso affermare con una certa sicurezza che aver letto le avventure di Bilbo prima di quelle di Frodo mi ha reso il cammino un po' più facile, soprattutto per la lettura in inglese. Credo che, senza Lo Hobbit avrei percepito un buco nella storia che non mi sarebbe piaciuto, soprattutto nel momento in cui Gandalf racconta nei particolari a Frodo le avventure di Bilbo con l'Anello. Il mio consiglio, soprattutto per non farsi spaventare dai primi lunghi capitoli de Il Signore degli Anelli, è di leggere prima Lo Hobbit.

Le differenze di traduzione e l'immaginario comune

Leggere Il Signore degli Anelli in inglese è stata una sfida sotto molti punti di vista, non solo da quello linguistico. L'inglese di Tolkien varia a seconda delle situazioni - le scene delle battaglie hanno un tono molto più epico e quindi complesso a livello linguistico, poiché fitto; le descrizioni dei paesaggi e degli scenari lo sono altrettanto, perché a ogni particolare rilevante viene dato il suo spazio e la scelta delle parole mi sembra fosse abbastanza precisa per Tolkien - e dei personaggi. Nei passaggi più alti e formali, l'inglese di Tolkien diventa molto complesso, soprattutto quando a parlare sono personaggi del calibro di Elrond, Celeborn o Galadriel, ovvero coloro che prendono le sembianze di saggi aiutanti e "oracoli" per far proseguire il cammino all'intera compagnia. Non me ne vogliano gli appassionati, ma qualche volta mi è scappata una risata associando quella sintassi elevata a quella "rivoltata" del saggio Yoda di Star Wars

Tuttavia, la parte che più mi ha disorientata è stata dover capire i nomi inglesi di personaggi e luoghi e ricalibrare la bussola. Anche per quel che riguarda i nomi, Tolkien amava giocare con la lingua inglese e le lingue antiche che aveva studiato nei libri e nelle saghe per tutta la vita. Ne Lo Hobbit Annotato alcune note a margine spiegano l'etimologia dei nomi inventati dall'autore e a cosa potrebbero far riferimento nella mitologia antica.

Tra i nomi che in questo primo volume mi hanno disorientata di più, ci sono:
  • Strider. Viene dall'inglese to stride, ovvero camminare a grandi passi o lunghe falcate. Il corrispettivo italiano di questa parola ne Il Signore degli Anelli Ã¨ Grampasso, il nome che viene dato ad Aragorn a Brea. Sembra che il motivo di questo soprannome sia dovuto al fatto che gli abitanti di Brea erano Hobbit o uomini di certo più piccoli di Aragorn e quindi avevano le gambe corte.
  • Underhill. Letteralmente tradotto in italiano con Sottocolle, è il nome di copertura che Frodo utilizza a Brea.
  • Rivendell. La traduzione letterale di questa parola potrebbe essere "la valle che divide in due/spaccata", motivo per cui la prima traduzione italiana di questa parola fatta da Elsa Jeronimus Conte ne Lo Hobbit fu Forrespaccata e non il Gran Burrone che conosciamo oggi. Quest'ultima traduzione è da attribuire a Vicky Alliata della Franca, che probabilmente si è fatta ispirare più che dal nome Rivendell dal corrispettivo in lingua elfica. Imladris, infatti, è formato da "imlad", una profonda valle dai fianchi scoscesi (im "profondo"+lad "valle") e "ris" che subisce il cambiamento di senso taglio-> fenditura-> crepaccio. Per cui il significato totale sarebbe "profonda valle del crepaccio [1]

Un "segreto" svelato

Continuiamo rivelando uno dei segreti meno segreti e più scioccanti che riguardano questo libro: Il Signore degli Anelli non è una trilogia. Ebbene sì, viene ribadito spesso nelle prefazioni al libro ed è stato più volte sottolineato dallo stesso Tolkien in passato: intorno al 1950, quando lo scrittore stava preparando il testo per la pubblicazione, si pensava al libro in termini di una "duologia", un libro in due parti di cui una composta da Il Silmarillion. Per questioni meramente economiche e commerciali, la casa editrice inglese Allen&Unwin con la quale Tolkien stava lavorando, decise di lasciare da parte questo secondo libro e di pubblicare solo Il Signore degli Anelli in tre volumi distinti. Tolkien, in ogni caso, continuava a pensare al suo romanzo come un lavoro diviso in sei libri - e tutt'ora, nelle edizioni in commercio, possiamo trovare questa divisione interna ai singoli volumi - e corredato di ben cinque appendici. 

Le questioni editoriali

The Fellowship of the Ring (La compagnia dell'anello) viene pubblicato in Inghilterra il 29 luglio del 1954 dalla Allen&Unwin, una prima edizione inglese alla quale segue quella americana nello stesso anno. Nel 1956 il mondo vede Il signore degli Anelli pubblicato nella sua interezza - con gli errori e le modifiche fatte dall'editore senza consultare l'autore inclusi - e non verrà toccato nuovamente dall'editore per circa un decennio. 

Nel 1965 una casa editrice americana pubblica una versione "pirata" de Il signore degli Anelli: senza autorizzazione da parte dell'editore inglese né il pagamento dei diritti, quest'edizione americana vede il testo completamente azzerato da quelle che erano state le modifiche precedenti dell'editore inglese e introduce nuovi errori tipografici. Tolkien, a questo punto, decide di mettersi al lavoro per produrre una prima revisione totale del testo, che uscirà in America sempre nel 1965. Una seconda revisione verrà fatta nel 1966 per poi rimanere inalterata fino al 1987.

Dopo la morte di Tolkien, avvenuta nel 1973, le successive versioni de Il Signore degli Anelli verranno redatte insieme al figlio dell'autore, Christopher Tolkien. Una grossa revisione viene fatta nel 1994 in occasione della pubblicazione del romanzo in Inghilterra da parte della HarperCollins, che verrà presa come base per la nuova edizione americana del 1999. Ulteriori revisioni e correzioni sono inserite nella bellissima edizione illustrata da Alan Lee nel 2002.

Problemi di revisione...

La questione delle numerosissime revisioni, aggiunte e correzioni de Il Signore degli Anelli Ã¨ dovuta in gran parte al fatto che i manoscritti del romanzo di J. R. R. Tolkien erano scritti prima a matita e poi ripassati con inchiostro sopra, ma soprattutto la scrittura dell'autore era di difficile decifrazione. Il figlio Christopher la descrive con "lettere così approssimative che una parola non poteva essere dedotta o indovinata dal contesto".

...con i nani

Un altro problema era la libertà che Tolkien si prendeva nello scrivere parole che, a livello grammaticale, non erano del tutto corrette. Un esempio lampante è il plurale di dwarf (nano) che in un inglese corretto dovrebbe essere dwarfs e quindi costituire un'eccezione alla regola che vuole le parole che terminano in -f fare il plurale in -v (vedi leaf - leaves). Da filologo e linguista, Tolkien avrebbe dovuto seguire la regola ma così non è stato. Troviamo sia ne Lo Hobbit che ne Il Signore degli Anelli il plurale "scorretto" dwarves, un errore che nella prima edizione fu corretto dall'editore e del quale lo stesso Tolkien si era accorto. Nel 1937, nella prefazione a Lo Hobbit, Tolkien scrive
In inglese, l'unico plurale corretto di 'dwarf' è 'dwarfs' e l'aggettivo è 'dwarfish'. In questa storia 'dwarves' e 'dwarvish' sono usati ma solo quando si parla di antichi popoli ai quali Thorin Scudodiquercia e i suoi compagni appartengono.
 In una lettera del 15 ottobre 1937 all'editore, Tolkien afferma che avrebbe continuato ad utilizzare questa forma scorretta che spiega ulteriormente nell'Appendice F de Il Signore degli Anelli: la forma dwarves per il plurale, secondo Tolkien, darebbe più dignità all'antico popolo dei nani rispetto alla forma corretta che, invece, farebbe ricordare troppo le "sillier tales of these latter days".

...con gli elfi

Lo stesso discorso si può applicare ad altri "errori" - consapevoli, oserei dire, visto che comunque Tolkien era un esperto filologo - presenti nel testo e corretti in prima battuta dall'editore: la forma elvish corretta con elfish ("elfico"), elven corretta con elfin ("dai tratti elfici"). Nelle successive revisioni Tolkien fu attento a mantenere le forme che egli stesso aveva più o meno volontariamente cambiato e a correggere, invece, quelle che sapeva di aver sbagliato per distrazione. Il problema, per Douglas Anderson si trovava proprio qui: in un romanzo nel quale ci sono lingue inventate e nomi costruiti con maestria con uno scopo ben preciso, come si fa a distinguere e a capire le diverse "storpiature" del linguaggio?

...e con la Terra di Mezzo

Un'altra piccola questione che impedì temporaneamente una comprensione totale dell'opera fu proprio la vastità di quest'ultima in termini di nomenclature, nomi, geografia e storia. Tolkien aveva creato un mondo così vasto sotto tutti i punti di vista che fu difficile decifrare nei primi decenni dalla pubblicazione de Il Signore degli Anelli. Il problema venne in parte risolto con la pubblicazione delle famosi appendici in cui si chiariscono vari punti della storia e della geografia della Terra di Mezzo.

Il personaggio di Tom Bombadil

Non hai la benché minima idea di chi sia Tom Bombadil? Nemmeno io ne avevo una prima di leggere il libro. O meglio, sapevo dell'esistenza di un personaggio del genere perché Tolkien ha scritto un libro di poesie a lui interamente dedicato nel 1962.

Tom Bombadil è un personaggio appartenente alla Terra di Mezzo che compare per la prima volta nell'immaginario tolkeniano nel 1920, quando Tolkien stesso scrive la prima poesia "Le avventure di Tom Bombadil", poi pubblicata nel 1934 sull'Oxford Magazine. Ricomparirà ne Il Signore degli Anelli nel capitolo VI del libro I all'interno de La compagnia dell'Anello

Esistono moltissime congetture su questo personaggio poiché è estremamente particolare, non solo per la sua natura ma anche nei termini della narrazione: Tom Bombadil compare nella Vecchia Foresta, salva gli Hobbit due volte da un destino fatale e indossa l'Anello del Potere senza scomparire. Poi, nulla più. Ecco il motivo per cui questo personaggio non compare in nessun adattamento cinematografico, ma è lo stesso per cui è diventato uno dei personaggi più discussi di tutto l'immaginario tolkieniano.

Nella sua biografia su J. R. R. Tolkien, Humphrey Carpenter scrive che Tom Bombadil prende il nome da una bambola olandese che apparteneva a Michael, il figlio dello scrittore e che inizialmente Tolkien avrebbe voluto scrivere un libro con solo lui protagonista. Il progetto fu abbandonato ma inserito comunque all'interno de Il Signore degli Anelli

Il mistero attorno a questo personaggio potrebbe risolversi in due modi: il primo, è la descrizione che viene data da parte del personaggio stesso e da Gandalf. Da entrambe si intuisce che Tom Bombadil sia una figura molto antica, quasi divina e che sia proprio per questo motivo che, una volta indossato l'anello, non ne subisce il potere. O almeno così sembra in apparenza. Si sa che il potere dell'Anello non è solo quello di far scomparire colui o colei che lo indossa poiché altrimenti Gandalf non avrebbe avuto così tanto timore da prenderlo con sé. Il secondo modo in cui si potrebbe risolvere il mistero Bombadil è la spiegazione che Tolkien dà a proposito del personaggio in alcune lettere. E' egli stesso, infatti, che afferma che Tom Bombadil è e deve rimanere uno dei misteri del romanzo poiché è giusto sia così e che “Rappresenta qualcosa che ritengo importante, anche se non saprei dire esattamente cosa. In ogni caso non lo avrei lasciato se non avesse avuto una qualche funzione.”".

Testi che mi hanno aiutato infinitamente a scrivere questo articolo (e che forse possono interessarti):

Note on the Text, Douglas Anderson, 2004, contenuta nell'edizione HarperCollins de The Lord of the Rings, 2005.
Foreword to the Second Edition, J. R. R. Tolkien contenuta nell'edizione HarperCollins de The Lord of the Rings, 2005.

[1] Spiegazione de Il Fosso di Helm

sabato 1 giugno 2019

giugno 01, 2019

#LeOreconTolkien: un'avventura con "Il Signore degli Anelli"

"Three Rings for the Elven-kings under the sky,
Seven for the Dwarf-lords in their halls of stone,
Nine for Mortal Men doomed to die,
One for the Dark Lord on his dark throne
In the Land of Mordor where the Shadows lie.
One Ring to rule them all, One Ring to find them,
One Ring to bring them all and in the darkness bind them
In the Land of Mordor where the Shadows lie."

mercoledì 24 aprile 2019

aprile 24, 2019

"In un buco nella terra viveva uno hobbit". Il mio viaggio con Bilbo Baggins


Autore: John Ronald Reuel Tolkien
Titolo originale: The Annotated Hobbit
Anno di pubblicazione: 1937
Edizione: Bompiani, 2012
Traduzione: Caterina Ciuferri, Paolo Paron
In un buco nella terra viveva uno hobbit.

Il mio viaggio con Lo Hobbit Ã¨ iniziato ufficialmente il 23 febbraio del 2019 e si è concluso due mesi dopo, il 23 aprile 2019. E' stato strano avvicinarsi ad un romanzo che sapevo avrei dovuto leggere molto tempo prima ma nei confronti del quale ho sempre mantenuto le giuste distanze senza un motivo ben preciso. I motivi possono essere diversi: sarà che i fantasy non rientrano nella categoria dei libri che amo leggere; sarà che quel momento dell'infanzia in cui si dovrebbe leggere un libro del genere per me era passato da un bel po' - o forse non è mai arrivato, non avendo mai letto nulla del genere -; sarà anche che negli ultimi tre anni sono stata, in qualche modo, costretta a limitare le mie letture in un confine ben preciso che solo una volta si è avvicinato marginalmente al genere del fantasy.

Insomma, ammetto che da parte mia non ci sia mai stato un interesse abbastanza forte per avvicinarmi a Lo Hobbit in passato, ma finalmente negli ultimi mesi il desiderio di aprire e iniziare finalmente a leggere quel volume che avevo riposto ordinatamente nella libreria è aumentato vertiginosamente.

Perché e come: la lettura de Lo Hobbit.

Ho sempre osservato, analizzato e anche un po' studiato la parte più accademica, se così vogliamo definirla, di J. R. R. Tolkien e, come al mio solito, mi sono avvicinata all'autore dall'esterno, dalle opere meno conosciute. La mia parte da "studiosa di letteratura" ha sempre la meglio per quanto mi riguarda e questo porta a due semplici conclusioni: una è stata già anticipata e riguarda l'idea, molto forte in me, che per conoscere uno scrittore sia necessario leggere soprattutto le opere minori che spesso e volentieri costituiscono il corollario e la base per le opere maggiori.

Con Tolkien è più o meno così, almeno per ciò che ho letto io prima de Lo Hobbit, il che significa Il Medioevo e il fantastico, una raccolta di saggi filologici, letterari e linguistici scritti da Tolkien su argomenti che finiscono per costituire le fondamenta dell'universo da lui creato, e Lettere da Babbo Natale - recensito qui nell'articolo sulle letture di Natale -, una raccolta delle lettere indirizzate ai figli in cui Tolkien si firma Babbo Natale e nell'arco di ventanni crea un intero universo fantastico prendendo spunto dalle varie mitologie e leggende sul padre del Natale, pagano e cristiano.

La seconda conclusione è decisamente più semplice e riguarda l'acquisto dell'edizione perfetta de Lo Hobbit, che è quella annotata da Douglas A. Anderson edita Bompiani. L'edizione è arricchita da molti elementi che la rendono la migliore per gli "appassionati" o per gli avidi di conoscenza letteraria - come la sottoscritta -.

Sono presenti numerosissime note sparse ai margini del testo che riguardano non solo parti del testo, ma anche il romanzo in generale, le avventure che Tolkien ha vissuto da giovane e che hanno ispirato il romanzo. Al riguardo, è stato decisamente interessante scoprire che lo scrittore fu ispirato nel descrivere il percorso dei nani e di Bilbo da Gran Burrone al di là delle Montagne Nebbiose dalle avventure vissute da lui stesso in Svizzera nel 1911. Inoltre, Anderson informa il lettore che nel 1952 Tolkien registrò la sua voce leggere sia Il Signore degli Anelli che una parte de Lo Hobbit che comprende l'incontro di Bilbo con Gollum: questo nastro è stato messo in circolazione con il titolo J. R. R. Tolkien Reads and Sings His "The Hobbit" and "The Fellowship of the Ring" (parti di questa registrazione si possono trovare su BrainPickings ma anche su YouTube ).

C'è anche un corposo apparato di appendici scritte da Tolkien - come La cerca di Erebor, ossia il racconto di come Gandalf abbia organizzato il viaggio di Bilbo e i nani verso Erebor, la Montagna Solitaria, o l'appendice sulle rune o l'approfondimento sulle varie traduzioni de Lo Hobbit - nel corso delle varie edizioni del romanzo pubblicate negli anni e, quindi, anche da una serie di approfondimenti sulla storia editoriale de Lo Hobbit.

Qui, nel profondo, presso l'acqua scura, viveva il vecchio Gollum, un essere piccolo e viscido. Non so da dove venisse, né chi o cosa fosse. Era Gollum, scuro come l'oscurità stessa, eccezion fatta per due grandi occhi rotondi e pallidi nel viso scarno.

L'unica pecca che ho riscontrato è che leggere l'avventura di Bilbo Baggins per la prima volta facendosi accompagnare dalle note a margine rende la lettura un po' troppo accademica. Mi spiego meglio: ho provato a leggere una buona parte del libro fermandomi per leggere ogni nota e mi sono resa conto che mi stavo perdendo gran parte del coinvolgimento che Tolkien riesce a creare nel raccontare la storia. Lasciando da parte le note, almeno inizialmente, nella lettura del resto del libro sono riuscita a godermi molto di più la storia.

Lo Hobbit annotato Ã¨ stato pubblicato per la prima volta nel 1988 e la seconda edizione è apparsa quattordici anni dopo, nel 2002. Secondo Anderson, questa nuova edizione fornisce "informazioni più approfondite sulla vita di Tolkien, sui suoi amici e colleghi, sui suoi interessi letterari e sulle altre opere, in modo da ottenere un ritratto complessivo più efficace." ed è decisamente riuscito nell'intento.

Perché leggere Lo Hobbit prima de Il Signore degli Anelli.

Per quanto io voglia immergermi nella lettura dei romanzi di Tolkien come avrei fatto se fossi stata più piccola, è indubbio che la mia parte da "piccola studiosa" farà sempre la sua parte e questo è il motivo per cui ho scelto, ma soprattutto sentito, di dover leggere Lo Hobbit ancor prima de Il Signore degli Anelli.

Come nelle migliori tradizioni delle saghe antiche, la storia del viaggio di "andata e ritorno, una vacanza da hobbit" fu prima inventato e raccontato oralmente da Tolkien ai suoi figli intorno al 1930, dopo un decennio di diversi racconti che lo scrittore inventava appositamente per i figli, alcuni dei quali furono messi per iscritto. Uno di questi sembra essere proprio Lo Hobbit, messo nero su bianco e pubblicato dalla Allen&Unwin nel 1937. Nel corso degli anni precedenti, Tolkien aveva sviluppato a pieno un interesse per le lingue e le letterature antiche, studiandole poi all'università e specializzandosi in antico inglese, antico norvegese e middle english. A soli sedici anni, in compagnia dei cugini, Tolkien aveva già inventato una lingua, l'Animalic. Nel 1910 aveva iniziato a scrivere poesie, i cui temi facevano spesso riferimento alle antiche leggende e servirono da base per lo sviluppo della mitologia tolkeniana.

Tutto questo confluisce in modo abbastanza ordinato ne Lo Hobbit, che è la sintesi di un percorso umano, accademico, letterario che pone le basi per la stesura dei romanzi e racconti successivi ambientati nella Terra di Mezzo. Credo che ora il motivo per cui abbia sentito di dover leggere Lo Hobbit per primo sia molto più chiaro, no?

Leggere Lo Hobbit per la prima volta.

Mio malgrado, credo di non riuscire a esprimere a pieno ciò che questo libro mi ha lasciato. E' chiaro anche a me stessa che mi è piaciuto, che me lo sono goduto dalla prima all'ultima pagina e che, in fin dei conti, sia una storia meravigliosa. Allo stesso tempo però, rimane un libro molto semplice e nella sua semplicità funziona alla perfezione. La storia di Bilbo è spesso portata avanti con le tecniche narrative proprie della tradizione nordica delle saghe, quindi attraverso formule e una struttura che pur ripetendosi rende la storia molto dinamica.

Raggomitolato sulla dura roccia, dormì meglio di quanto avesse mai fatto nel suo letto di piume. Ma per tutta la notte sognò casa sua, e nel sonno girò per tutte le stanze cercando qualcosa che non riusciva né a trovare né a rammentare che aspetto avesse.

Lo stile e l'accessibilità - termine che prendo in prestito dall'introduzione di Anderson - della scrittura di Tolkien offre alla storia un elemento senza il quale Lo Hobbit non sarebbe ciò che è, ossia un libro sia per bambini che per adulti, intriso di una cultura vastissima e spesso misteriosa, resa in modo che sia alla portata di tutti. Tuttavia, si percepisce che, nonostante le aggiunte fatte da Tolkien nel corso degli anni per adattare la storia, i riferimenti geografici e storici a ciò che viene raccontato ne Il Signore degli Anelli, Lo Hobbit sia un racconto di sperimentazione per qualcosa di più grande.

Per quanto non mi piaccia etichettare le mie letture, è necessario catalogare questo libro nel genere fantasy, perché ad esso appartiene da un punto di vista letterario. Non sono mai stata una lettrice di fantasy e, leggendo Lo Hobbit mi sono resa conto che forse non è il mio genere. Lo so, Tolkien è un'eccezione per chiunque, motivo per cui la mia brama di conoscenza di questo scrittore, filologo, linguista, letterato, intellettuale quale è J.R.R. Tolkien non termina qui: ho in cantiere la lettura della trilogia centrale della sua produzione, ovvero Il Signore degli Anelli. Bilbo, Gandalf, acquile e nani ci leggeremo molto presto!

Francesca, Le ore dentro ai libri.

martedì 19 dicembre 2017

dicembre 19, 2017

Letture sotto l'albero - quattro consigli di lettura per Natale


Buonasera lettore e lettrice! Finalmente è arrivato dicembre e io non scrivo sul blog da un mese esatto. Quale occasione migliore se non l'avvicinarsi delle feste? Insieme ad esse, si sa, arriva anche quella deliziosa atmosfera natalizia che riscalda tutti dal freddo e che spero faccia sorridere molte persone. Io adoro il Natale e tutto ciò che lo circonda, tant'è che mi emoziono più per le preparazioni della festa che per la festa stessa.

Questo credo sia un ottimo motivo per consigliarti quattro letture a tema per prepararsi al Natale al meglio, unendo il piacere della lettura alla magica atmosfera natalizia. Le letture in questione sono libri che ho letto e che, naturalmente, mi sono piaciuti moltissimo, non solamente per il loro contenuto. Mi piace ricercare edizioni particolari o racconti poco conosciuti e che meritano di acquisire sempre più fama, perciò iniziamo subito!

Pimo libro ad atmosfera natalizia non può che essere la raccolta di racconti più o meno brevi che la Elliot ha raggruppato sotto il nome di Racconti di Natale. Tra gli autori presenti all'interno si annoverano Sir Arthur Conan Doyle, Luisa May Alcott, Oscar Wilde, Hans Christian Andersen e Frank L. Baum tra molti altri.

La bellezza di questa raccolta non risiede solo nella possibilità di leggerla con molta libertà e scegliere da quale racconto iniziare, ma anche nella scelta dei racconti stessi.  I racconti si assomigliano tra loro per il modo in cui raccontano il Natale e vi ho ritrovato molto delle storie di formazione. Da una parte, come la maggior parte delle storie natalizie, questi racconti si pongono l'importante obiettivo di far riflettere il lettore su temi moralmente importanti, ma dall'altra, ogni racconto si differenzia dagli altri.

Con Oscar Wilde, ad esempio, possiamo trovare elementi e simboli della cristianità che non vengono nascosti al lettore bensì inseriti in una narrazione molto delicata, adatta per i bambini. Nella lettera che Mark Twain scrisse alla figlia firmandosi Babbo Natale, invece, veniamo sorpresi dalla crudezza di alcuni passaggi e dalla capacità dello scrittore americano di risultare comunque molto dolce e paterno.

Questa raccolta di racconti è anche un ottimo spunto per scoprire le tradizioni natalizie altrui, come il curioso costume anglosassone, che si ripete spesso nei racconti, di mettere i regali nella calza e non sotto l'albero.

La seconda lettura che ti consiglio è un libricino che, viste le dimensioni, potrebbe benissimo entrare a far parte delle Piccole LettureIl Natale dei vecchi di Ring Lardner, edito Nuova Editrice Berti. Con questo libricino si cambia decisamente atmosfera e dalle storie natalizie a lieto fine si passa ad una narrazione dal retrogusto amaro, ironico ma anche decisamente spassoso. Nelle due storie contenute in questo libricino, I fatti e Il Natale dei vecchi, Lardner non risparmia nessuno e rappresenta con un linguaggio tagliente la società borghese americana tra le due guerre mondiali.

Il contrasto tra una tradizione che con il tempo perde sempre più significato e l'avanzare di una nuova società rivolta al futuro è forse uno dei temi più evidenti del secondo racconto. Il primo, al contrario, ha un tono un po' più divertente ma non manca anch'esso di distruggere il frivolo e ipocrita mondo borghese.



Terzo consiglio per assaporare al meglio l'atmosfera di Natale è Lettere da Babbo Natale di J.R.R. Tolkien che istituì una vera e propria tradizione per i suoi tre figli, Christopher, John e Priscilla. Tolkien, infatti, non era solo un grande studioso di lingua e cultura anglosassone (insegnò la materia per molti anni a Oxford), bensì anche un papà affettuoso e creativo. Il volume Bompiani, recentemente ripubblicato in una nuova edizione, offre al lettore tutte le lettere firmate Babbo Natale che il padre della Terra di Mezzo ha scritto ai suoi figli nell'arco di 20 anni.


Non si tratta, però, solo di semplici risposte alle letterine dei tre piccoli Tolkien, ma di vere e proprie storie sulla vita e le avventure di Babbo Natale al Polo Nord. Tra i disastri dell'Orso Bianco, fido aiutante sbadato di Babbo Natale, e le malefatte dei Goblin, si incontrano sempre più dettagli e personaggi di un mondo che, lettera dopo lettera, prende vita e diventa reale.


Un lettore attento - e forse anche un maniaco come la sottoscritta... - ritroverà sicuramente riferimenti letterari e filologici che dimostrano la grande capacità dell'autore di combinare le sue conoscenze accademiche con una narrazione rivolta ai bambini senza appesantire per niente il racconto.

Lettere da Babbo Natale Ã¨ un libro bello da leggere e anche da vedere grazie alle riproduzioni a colori dei disegni che lo stesso Tolkien ha prodotto per illustrare il contenuto delle lettere.

Quarto ed ultimo consiglio Ã¨ una piccola sorpresa per i lettori più curiosi e appassionati. Cos'è Natale senza A Christmas Carol di Charles Dickens? Ho letto questo libricino per la prima volta l'anno scorso e ne sono rimasta piacevolmente sorpresa, al punto da aver scritto una recensione proprio il giorno di Natale. Quest'anno, il consiglio non cambia, ma l'edizione sì. A fine novembre Bompiani ha pubblicato Canto di Natale in un'edizione critica con traduzione aggiornata e la riproduzione del manoscritto originale. Più o meno ad ogni pagina corrisponde una pagina di manoscritto e io non potevo farmi perdere un'occasione simile. Il libro è in copertina rigida e i numeri delle pagine sono incorniciati da un piccolo agrifoglio. Cosa stai aspettando?



I consigli, ora, terminano per davvero e spero che siano stati di tuo gradimento.

Ti auguro un felice Natale e buone letture di fine anno.

Ci leggiamo presto,
Francesca, Le ore dentro ai libri.

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