martedì 16 aprile 2024

aprile 16, 2024

Diventare nere in America. “Americanah” di Chimamanda Ngozi Adichie


 

 

Princeton, d'estate, non aveva odore, e anche se a Ifemelu piacevano la verde tranquillità dei tanti alberi, le strade pulite e i palazzi imponenti, i negozi un filo troppo cari e la quieta, persistente aria di meritata grazia, era proprio questo, l’assenza di odore, ad attirarla di più, forse perché le altre città americane che conosceva bene avevano tutte un odore ben distinto. (5)

 

Ifemelu è una giovane nigeriana trapiantata negli Stati Uniti da ormai tredici anni. Scrive su un blog che ha milioni di visitatori giornalmente e ha una borsa di studio a Princeton. Nonostante la vita americana apparentemente appagante, Ifemelu decide di tornare a Lagos in via definitiva, dove ha lasciato sé stessa e Obinze, il ragazzo amato. La storia della protagonista inizia su un binario e si sposta rapidamente in un salone di acconciature che dà il via al suo racconto a ritroso nel tempo. Questa storia continua in Nigeria dove Ifemelu si scontrerà di nuovo con ciò che ha lasciato tredici anni prima, Obinze incluso.


La storia di Americanah sembra avere tutte le premesse per una fantastica storia d’amore. Tuttavia, il romanzo svela sin da subito una sottile trama incastrata tra le parole della storia narrata. Discorsi come l’identità, la razza e l’appartenenza prorompono sulla pagina e aiutano a dipingere un ritratto molto caustico degli Stati Uniti degli anni ’10 del nuovo millennio.


La visione sul paese che emerge è, infatti, quella di occhi esterni. In questo senso, Ifemelu si pone come spettatrice della vita oltreoceano, prima intrisa del sogno americano che condivide con Obinze, poi distante e infine partecipante attiva. La scossa alla vita negli Stati Uniti viene sferrata da un evento traumatico che toglie alla ragazza il contatto diretto con il suo corpo. Da quel momento in poi, questo diventerà uno mezzo per rappresentare l’immagine costruita che la accompagnerà per buona parte della sua esperienza americana. Ifemelu si crea la sua identità americana e la decostruirà passo passo.


Desiderava moltissimo capire tutto dell’America, indossare subito una nuova pelle che sapesse nell’ordine: tifare per una certa squadra al Super Bowl, capire cosa fosse un Twinkie e cosa significasse, in certi sport, la parola “blocco”, prendere le misure in once e piedi quadrati, ordinare un muffin senza pensare che in realtà era un dolce e dire “ho messo a segno un affare” senza sentirsi idiota. (140)

 

L’apice di questa decostruzione avviene quando Ifemelu si rende conto di essere diventata nera. Il discorso sulla razza si intensifica e con esso si delinea ancora meglio quel ritratto caustico degli Stati Uniti, dove le persone nere possono sentire “come se il loro mondo fosse avvolto nella garza” (308). Di conseguenza, in Ifemelu inizia a nascere la consapevolezza di quel vestito che l’identità razziale in America mette indosso ai neri, un aspetto che riguarda il modo in cui le persone non bianche si muovono nella società. L’incomprensione che Ifemelu sente di avere sull’argomento è così forte che la spinge ad aprire un blog nel quale riversare le sue riflessioni, Razzabuglio, o varie osservazioni sui Neri Americani (un tempo noti come negri) da parte di una Nera Non Americana.


Tuttavia, sembra che la stessa identità razziale sia solo un altro vestito che Ifemelu si ritrova a indossare in America e che all’inizio le aveva dato modo di rientrare in quel “sacro circolo americano” (5) nel quale si ritrova a vivere. La nostalgia che percepisce in apertura di romanzo riguarda, forse, proprio l’identità che sente di aver perduto.


Sebbene possa sembrare che la vita americana di Ifemelu sia fatta solo di successi, questi sono stati raggiunti pagando un caro prezzo. Oltre al rientro in Nigeria, l’unico modo apparente per riappropriarsi della sua identità è la scrittura del blog. Questo elemento metaletterario nel romanzo dà la possibilità all’autrice di essere tagliente ed estremamente ironica nei confronti del trattamento del tema della razza negli Stati Uniti. Un argomento che soprattutto i bianchi americani tendono a ignorare del tutto, mettendo tuttavia in risalto le differenze sociali tra neri e bianchi. Ecco qual è il mondo avvolto nella garza: uno tipicamente americano nel quale l’identità razziale governa le dinamiche sociali ma non viene mai nominata.


L’elemento più preponderante del romanzo è forse la metafora dell’identità: i capelli. Ancora una volta il corpo rappresenta al meglio il luogo privilegiato della rappresentazione di sé. Il romanzo inizia con il viaggio che la protagonista intraprende per farsi le treccine prima di tornare a Lagos. I capelli hanno un’importanza cruciale nel romanzo, sono la rappresentazione di una liberazione che avviene solo nel momento in cui ci si riappropria di uno stile naturale. Che siano africane o americane, alle donne nere negli Stati Uniti viene implicitamente richiesto di lisciarsi i capelli, una pratica che le avvicina alle loro concittadine bianche. Rifiutando questa pratica, Ifemelu si libera dalle costrizioni razziste e razzializzanti americane che tentano di rendere più bianche possibili le donne nere. Al contempo, tramite la scrittura, Ifemelu si libera anche di tutte quelle pratiche che rendono i neri, africani o americani, un agglomerato indistinto di persone.


Forse, nella struttura a incastro che domina il romanzo in cui vediamo la storia sia dalla prospettiva di Ifemelu che di Obinze su piani temporali diversi, i protagonisti perdono spessore. Anche il finale potrebbe sembrare privo di profondità agli occhi di chi è abituato al dramma del Romanzo americano. La storia d’amore, tuttavia, forse è un’altra. Come afferma la stessa autrice nell’introduzione all’edizione celebrativa dei dieci anni del romanzo, “what in the end is my story about being Black in America but a lush love story? One that lays bare my faith in love, in love undying.”

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