martedì 27 dicembre 2022

dicembre 27, 2022

Il regalo di Faulkner con "Luce d'agosto"


 

Seduta sul bordo della strada, guardando il carro che viene su per la salita verso di lei, Lena pensa, 'Arrivata fino a qui dall'Alabama: una bella distanza. Tutto a piedi fin dall'Alabama. Una bella distanza'. Pensando non è neanche un mese che sono in viaggio e sono già in Mississippi, più distante da casa di quanto sono mai stata. Ora sono più distante dalla segheria di Doane di quanto sono mai stata da quando avevo dodici anni

 

Ambientato nella fittizia contea di Yoknapatawpha, Luce d’agosto si apre con un viaggio dove il Mississippi, luogo preferito da Faulkner per ambientare le sue storie, sembra essere solo una stazione di passaggio piuttosto di quella di arrivo. Pubblicato nel 1932, il romanzo è uno dei grandi titoli dell’autore sebbene ricordi solo in parte le grandi e complicate narrazioni dei due romanzi precedenti, Mentre morivo (1930) e il più celebre L’urlo e il furore (1929). Con la seconda lettura dell’anno, il Bright Lights Bookclub si avventura in uno spazio non denominato con precisione né temporalmente collocato con esattezza, tra le casupole fatiscenti di contadini, pastori, e liberi cittadini di Jefferson, capoluogo della contea di Yoknapatawpha.


Il romanzo, narrato in una terza persona da cui spesso si affacciano commenti diretti degli stessi personaggi, si apre con Lena Grove, una giovane ragazza incinta con una missione ben precisa: trovare un tale Lucas Burch, uomo di cui è innamorata e padre della creatura che porta in grembo. Nel “caldo, immobile silenzio del pomeriggio di agosto che sa di pino e di mosto” (15) Lena affronta con tenacia e coraggio un viaggio che si prospetta faticoso, non solo per via della percorrenza tra gli stati, ma anche a causa della sua permanenza a Jefferson. Una volta giunti in città, infatti, il lettore viene posto di fronte a una verità narrata attraverso le timide parole di Byron Bunch, che lavora alla segheria della città insieme a quello che sembra essere proprio Burch sotto un altro nome.


La narrazione cambia di continuo punto di riferimento, tornando a Lena solo nelle parti finali. Luce d’agosto è infatti un romanzo piuttosto corale da questo punto di vista, poiché cede la narrazione degli eventi, presentati solo parzialmente, a più voci e, soprattutto a occhi diversi. Veniamo così a conoscenza del passato tormentato del reverendo Hightower e della moglie adultera e poi suicida, ma soprattutto di uno dei personaggi forse meglio riusciti della narrativa faulkneriana. Si tratta di Joe Christmas, un uomo la cui origine è un mistero, la cui discendenza di sangue – e quindi razziale, – è in bilico tra ciò che in quel sud degli Stati Uniti provato dalle leggi segregazioniste è accettabile e ciò che non lo è. 


La storia di Christmas si intreccia a quella di Lucas Burch, ma è di fondamentale importanza in un romanzo che pone implicitamente al suo centro il rapporto identitario con sé stessi e quello tra comunità bianca e quella nera. I rapporti razziali sono rappresentati dalla lotta costante che Christmas vive dentro di sé e dalle conseguenze che un apparente omicidio ha sulla comunità tutta di Jefferson. Attraverso il personaggio di Christmas e le vicende che, come un domino, sembrano susseguirsi a catena nella sua vita, Faulkner riesce a ritrarre un quadro molto chiaro della “maledizione” del razzismo nel sud, un rapporto tra bianchi e neri che sembra essere dalla notte dei tempi destinato a restare subalterno.


Una razza condannata alla maledizione di essere in eterno per la razza bianca la maledizione e la condanna per i suoi peccati. Ricordatelo. La sua condanna e la sua maledizione. In eterno. Mia. Di tua madre. Tua, anche se sei solo una bambina. La maledizione di ogni bambino bianco, mai nato o che nascerà. Nessuno può sfuggirla

 

La condanna subita dai neri e imposta dai bianchi raggiunge il climax verso la fine del libro, e viene raccontato quasi a sottovoce, per sentito dire, mentre Lucas Burch si dà alla fuga da Lena e dalla legge di Jefferson. Nel frattempo, Byron Bunch e il reverendo Hightower si fanno carico della bomba che sta per esplodere nella comunità. Da una parte Hightower che, reduce da una storia familiare altrettanto complessa che si intreccia con la storia della schiavitù nel sud, si eleva a moralizzatore sebbene anche lui rimanga senza risposte effettive all’omicidio. Dall’altra Bunch, finito per innamorarsi di Lena ma incapace di pronunciare non solo l’amore che prova per lei ma anche semplici parole su ciò che sta succedendo a Jefferson.


La pace non è così frequente. Per cui si agitavano e facevano capannello, gridavano chiedendo vendetta, convinti che le fiamme, il sangue, quel corpo che era morto tre anni prima e soltanto adesso aveva ricominciato a vivere chiedessero vendetta, non sapendo che sia la rapita intima furia delle fiamme sia l'immobilità del corpo asseveravano il raggiungimento di una regione al di là delle ferite e del male dell'uomo.

 

La complessità delle pagine di Faulkner viene mascherata da una prosa questa volta apparentemente lineare – ma nemmeno troppo – e dà la possibilità a Faulkner di esplorare territori geografici, simbolici e sociali familiari da una prospettiva ancora diversa.


Per questo, il grande regalo che Faulkner fa ai suoi lettori riguarda proprio passato, il proprio, quello del sud, che ancora una volta viene filtrato da occhi nuovi, diversi. Per quanto tragico, controverso e orribile possa essere, il passato non può essere cancellato e il peso da portare è umano, indelebile e eterno.

martedì 22 novembre 2022

novembre 22, 2022

Il Mississippi di Jesmyn Ward. "Salvare le ossa".


Sono i corpi a raccontare storie.


Autrice:
Jesmyn Ward
Titolo: Salvare le ossa
Titolo originale: Salvage the Bones
Edizione: NNEditore, 2018
Traduzione: Monica Pareschi

Esch è un’adolescente afroamericana, appassionata di storie e libri che legge grazie alle assegnazioni scolastiche con trasporto e una forte immedesimazione. L’estate del 2005, anno del tragico uragano Katrina, a Esch è stato assegnato Mythology, una raccolta di racconti della mitologia greca riadattati per i ragazzi. Esch ne rimane stregata, in particolare si interessa della storia degli Argonauti e della figura di Medea, audace e scaltra donna protagonista di una serie di miti tragici e d’amore e che arriva a uccidere i propri figli pur di assicurare che il suo sposo, Giasone, non possa avere discendenza. Esch si lascia trasportare dalle storie d’amore e passioni che vengono raccontate in quel libro, immaginando di poter essere amata come le donne protagoniste di quelle storie e di avere la loro audacia.

La storia di Salvare le ossa viene raccontata proprio da Esch in prima persona e si concentra nei dodici giorni precedenti al disastro dell’uragano Katrina tra il Mississippi e la Louisiana. Come per tutta la trilogia di Bois Sauvage, anche Salvare le ossa viene ambientato, per l’appunto, nella fittizia Bois Sauvage, una cittadina con una forte comunità afroamericana di cui la famiglia di Esch e i suoi amici fanno parte.

La storia di Salvare le ossa si svolge in un Mississippi che Ward conosce molto bene e in una realtà sociale altrettanto familiare. La famiglia di Esch è povera, e si tratta di una povertà che permea silenziosamente gli eventi narrati in queste pagine. Non ingombra, ma è sempre presente, violenta a volte come la potenza creatrice e distruttrice della natura. Non è un caso che i due elementi naturali che incorniciano tutto il romanzo dall’inizio alla fine siano la nascita e l’uragano.

Il romanzo si apre, infatti, con il parto sofferto di China, il cane del fratello di Esch, che la ragazza associa più a un combattimento, rimuovendo così ogni alone di romanticismo legato a quest’atto. Tuttavia, Esch non riesce a separare del tutto la nascita di una nuova vita dalla delicatezza a cui viene stereotipicamente associata. Allo stesso modo in cui racconta il parto di Junior, il più piccolo dei suoi fratelli, che “era viola e azzurro come un’ortensia: l’ultimo fiore di mamma” (10), anche China finisce per dare alla luce “un bulbo rosso-violaceo”, che Esch associa alla fioritura (12). La prospettiva ingenua e edulcorata di Esch sul parto, la nascita e la maternità inizia a sgretolarsi nell’istante in cui, a poche pagine dall’inizio del libro, la protagonista scopre di essere incinta. Con l’imminenza dell’uragano alle porte del Bayou e della “Fossa”, l’avvallamento tra i boschi che Skeet, Esch, Junior e il padre chiamano casa, la ragazza sarà costretta a confrontarsi con un corpo in continuo cambiamento, un corpo che racconta la sua storia

Sono inginocchiata sopra il lavabo. Il lavandino è di metallo duro, e dove si incassa nel mobiletto di plastica c’è un piccolo rialzo che si incide nelle mie ginocchia. Voglio controllare quanto sono ingrassata, per rendermi conto se si vede. […] devo vedermi con gli occhi, non solo con le mani, le mani che durante il sonno tengono la pancia e che quando mi sveglio trovo sempre infilate sotto l’elastico dei pantaloni. 

La storia apparentemente silenziosa, sofferta, degli afosi giorni che precedono l’uragano viene incorniciata da tutti gli elementi appena menzionati, che riguardano il rapporto con il proprio corpo, la propria femminilità – e cosa questa significhi per un’adolescente afroamericana di una famiglia povera -, la maternità e l’aspetto sociale che tutte queste tematiche portano inevitabilmente in superficie.

Esch sembra essere alienata, distante da sé e dal proprio corpo quando inizia il romanzo. La mancanza di romanticismo e di favola nell’atto sessuale sembra essere il motivo che spinge la ragazza ad avere quei comportamenti promiscui con i ragazzi che le ronzano attorno e che finiranno per incatenarla al proprio corpo con la scoperta della gravidanza. Anche nell’ignoranza delle conseguenze di questi comportamenti, Esch rimane incastrata nella povertà economica della sua famiglia e sembra uscirne solo quando, da narratrice, assume atteggiamenti quasi mistici, veggenti. Elevando il suo stesso tono narrativo, Esch si mette in fuga dalla realtà che vive quotidianamente per vivere un sollievo che, anche se spesso sfocia nell’alienazione, sa di poter trovare solo nelle sue storie mitiche. 

La gravidanza mette Esch in condizione di vedersi e vedere il suo corpo crescere, cambiare, assumere quelle forme tecnicamente femminili che la ragazza non aveva mai considerato. La maternità, anche quella mancata visto che Esch e i suoi fratelli sono orfani di madre, si fa strada nel romanzo come una presenza che non si palesa mai del tutto e che quando lo fa diventa quasi distruttiva. La madre di Esch è morta mettendo al momento Junior e a un disastro naturale la cui grandezza è solo vagamente percepibile viene dato il nome di una donna, Katrina. La potenza della natura diventa così creatrice e distruttrice allo stesso tempo e culminerà proprio con l’arrivo dell’uragano.

Se da una parte Salvare le ossa assume toni molto simili al misticismo delle pagine di Mentre morivo di Faulkner che Esch legge durante l’estate dell’uragano, elevando così il romanzo a una sfera decisamente poetica molto forte, la realtà sociale degradante di Ward non rimane in secondo piano. Il tema sociale nel romanzo è molto sottile, presentato in maniera che rimanga tra le righe letteralmente, che non venga nominato esplicitamente ma suggerito da alcuni elementi appena nominati. La fossa, il luogo dove la famiglia di Esch vive da generazioni, è il simbolo dell’avvallamento sociale che la comunità nera di Bois Sauvage è costretta a vivere ogni giorno e che, quasi per natura del territorio, sprofonda sempre di più verso il degrado e l’oblio. 

Il giorno prima di un uragano arriva sempre una telefonata. Quando era viva mamma, rispondeva lei. Sono quelli del governo, chiamano tutti gli abitanti delle zone minacciate. […] Non ricordo cosa dice esattamente, qualcosa come: «Ordine di evacuazione. L'arrivo dell'uragano è previsto per domani. Il governo declina ogni responsabilità nel caso in cui decidiate di rimanere nelle vostre case e non abbiate ancora evacuato la zona. Siete avvertiti». Segue una lista di quelle che «potrebbero essere le conseguenze delle vostre azioni». E non so se lo dice proprio in maniera esplicita, ma il senso è questo: «Rischiate di morire». 

Come giustamente afferma Serena Daniele, editor di NNEditore, Salvare le ossa è l’epica degli ultimi, coloro che vengono lasciati ai margini anche in situazioni tragiche nazionali come l’uragano. Non è un caso che quando il governo chiama i cittadini della zona per avvertire dell’imminente arrivo di Katrina, la responsabilità della fuga e della propria sopravvivenza sembri quasi essere addossata agli stessi abitanti della zona. Che possano permettersi o no di fuggire, di trovare un riparo, se muoiono è solo colpa loro. Come viene narrato in un altro episodio del romanzo, i bianchi a Bois Sauvage vengono solo in vacanza, i neri invece popolano la comunità e la mantengono viva, seppur in bilico tra assi di legno marce e furgoni abbandonati. La mitologia del romanzo in questo senso diventa un contraltare alla parte sociale degradante, ingiusta e razzializzata della realtà e eleva la narrazione quasi a un atto di purificazione dalla quotidianità.

L’uragano, Katrina, forza distruttrice della natura spazza via tutto, anche l’alienazione dalla realtà del quotidiano. Monica Pareschi, traduttrice della trilogia di Bois Sauvage, afferma che “[u]na riconciliazione degli opposti è possibile solo in un inventario finale di ciò che è inevitabilmente rotto, perduto, frammentato, distrutto, e nessuna riparazione sarà in grado di occultare le fratture.” Niente di più vero per un romanzo che ci tiene col fiato sospeso dalla prima all’ultima pagina, con la consapevolezza che qualcosa di grosso, maestoso, distruttivo sta arrivando e che scoperchierà tutto ciò che stiamo cercando disperatamente di evitare di vedere.

mercoledì 14 settembre 2022

settembre 14, 2022

L'American Housewife del nuovo millennio: "Casalinghe americane" di Helen Ellis per il Bright Lights Bookclub


Autrice:
Helen Ellis

Titolo: Casalinghe americane

Titolo originale: American Housewife

Edizione: La Tartaruga (Gruppo La Nave di Teseo), 2021

Traduzione: Chiara Spaziani


Con l’ultima lettura del Bright Lights Bookclub ci si sposta non solo geograficamente e in orizzontale tra i paesaggi americani ma anche in modo verticale, attraversando la società americana per arrivare ai contesti urbani della borghesia tutta al femminile. I racconti di Helen Ellis raccolti in questo volume (Casalinghe americane, La Tartaruga 2021), alcuni brevi e altri ancora di più, sono legati da un filo che tiene assieme le vite di queste donne americane: casalinghe, scrittrici, coniugate, single, accomunate tutte da una sottilissima e dirompente insoddisfazione nei confronti di ciò che sono riuscite a raggiungere nella loro vita.


“Ispirandomi a Beyoncé, procedo a passi da cavalla fino al tostapane. Mostro a mio marito una bruciatura che somiglia all’isola dove siamo stati in luna di miele, gli do un bacio di saluto e gli dico a che ora essere di ritorno per il nostro party.”

 

Queste prime bizzarre righe dell’incipit della raccolta di racconti di Helen Ellis riassumono in modo secco e categorico le attività quotidiane della protagonista del primo racconto, “Quello che faccio tutto il giorno”. La protagonista che apre le danze alla raccolta racconta con effetto sconvolgente quello che una buona moglie e donna di società fa, dice e pensa nell’arco di una giornata tipo. L’effetto sconvolgimento, in effetti, non è casuale nella raccolta di Ellis, che si presenta sin da subito come un ritratto, seppur spesso caricaturale, di ciò che le casalinghe americane di queste pagine non solo puntano disperatamente a essere ma sono, tristemente, davvero. Atteggiamenti da dive, una vita coniugale apparentemente perfetta e benestante e una socialità altrettanto soddisfacente. L’American Housewife di Helen Ellis è una donna che cerca con tutte le sue forze di apparire il più forte possibile di fronte a una società che la vorrebbe tutta d’un pezzo, quando essere di essere d’un pezzo solo sembra una vana e lontana illusione.


Continua a leggere sul sito della biblioteca del Centro Studi Americani ➞

lunedì 5 settembre 2022

settembre 05, 2022

Una varietà di suoni umani: "Follie di Brooklyn" di Paul Auster

Per approfondire Brooklyn e il romanzo, ti consiglio di ascoltare la prima puntata del podcast Storie letterarie dedicata a Auster e il suo romanzo.












Autore: Paul Auster

Titolo: Follie di Brooklyn

Titolo originale: Brooklyn Follies

Edizione: Einaudi, 2014

Traduzione: Massimo Bocchiola


Nathan Glass sta cercando un posto dove morire. Un posto tranquillo, silenzioso. Curioso che scelga proprio Brooklyn sotto consiglio di un suo amico, un quartiere pieno di vita e cultura che si insinua silenziosamente in gran parte delle pagine di questo libro. Follie di Brooklyn sembra iniziare come il miglior romanzo di Samuel Beckett (al punto da sembrare un omaggio alle prime pagine di Malone muore, Malone Dies) e se non fosse per l’apertura che lo sfondo urbano di New York suggerisce al lettore, potrebbe proprio sembrare così. Se da un lato i romanzi di Beckett – soprattutto la famosa Trilogia – lasciano un senso di incompletezza e chiusura, Follie di Brooklyn fa tutto il contrario, pur aprendosi su un’apparente nota di una fine preannunciata.


Le spiegai che probabilmente entro l’anno sarei morto, e non me ne fregava un cazzo di fare progetti.

 

Nathan Glass si presenta come l’uomo più cinico e detestabile del quartiere, “un po’ cattivo a volte” (4) e abbastanza disilluso riguardo l’amore e gli affetti. Tuttavia, l’uomo quasi sessantenne e con un tumore, decide che è giunto il momento di fare qualcosa, “trovare un modo per ricominciare a vivere; ma anche se non fossi vissuto, ero costretto a fare qualche cosa di più che mettermi a sedere e aspettare la fine” (5). Follie di Brooklyn illude nuovamente il lettore, che pensa di star leggendo la storia di un uomo in attesa della morte, alle prese con un bizzarro progetto chiamato Il libro della follia umana in cui riversare “il racconto di tutti gli svarioni e i capitomboli, i pasticci e i pastrocchi, le topiche e le goffaggini in cui ero caduta nella mia lunga e movimentata carriera di uomo” (7).


Glass è il rocambolesco narratore di una storia più grande di lui che lo include solo marginalmente. Attraverso la ormai nota tendenza di Auster a far rivolgere il proprio narratore direttamente al lettore, Nathan sembra indirizzare la sua attenzione verso i personaggi che orbitano intorno alla sua vita. Sebbene questa sembri ormai sull’orlo della fine, paradossalmente saranno proprio il nipote e altre bizzarre figure che lo salveranno da questa caduta libera verso il baratro fisico, emotivo e psicologico.


Il progetto di Nathan di scrivere un libro sulla follia umana si trasforma ben presto nella storia che egli stesso, come narratore, racconta a noi lettori. La follia diventa quella bizzarra quotidianità e ordinarietà che è presente solo nei romanzi di Paul Auster. Non è un caso che insieme a Glass, altri strani personaggi dalle abitudini fuori dall’ordinario abitino le pagine di questo libro, esseri umani alla deriva che ritraggono un quadro più che realistico: un vecchio collezionista recidivo che ingenuamente si fa tentare da pratiche illegali che possano renderlo ricco e famoso; un ex dottorando di letteratura alla deriva finito a lavorare per il collezionista; una donna all’apparenza irraggiungibile e che poi si rivela essere la più ordinaria – e anche mediocre – figura di tutta la storia; una bambina che fa un voto di silenzio per amore della madre, capace di risvegliare due uomini ormai intorpiditi dalla vita.


Le vite di questi strani ma ordinari personaggi si intrecciano perfettamente al paesaggio urbano di una delle città preferite da Auster–New York. Come unico libro che l’autore ha deliberatamente scritto per essere una commedia (Auster e Siegumfeldt 229), la città non diventa una trappola per l’essere umano come succede, per esempio, in Trilogia di New York. La ragione si trova nella scelta, più che familiare per Auster, di concentrare il romanzo nella zona più artistica di New York, Brooklyn, che assume tratti per lo più positivi. Il titolo del romanzo diventa così più comprensibile, non solo per via dell’ovvio riferimento al borough newyorkese, ma grazie all’apertura e, allo stesso tempo, ambiguità del significato delle “follie”. Non sono dell’idea che queste si riferiscano in prima battuta al libro della follia umana di Glass. Per quello che lo riguarda, il manoscritto serve come trampolino di lancio per agganciare le vite “di ordinaria follia” alla quotidiana divergenza della vita del narratore e dei suoi compagni di viaggio. Al contrario, le follie del titolo sembrano proprio trovarsi in questo stato di ordinarietà che Auster decide di rappresentare nel colorato, storico e multiculturale distretto di Brooklyn.


Dopo tutti quegli anni nei sobborghi trovo che la città mi sia consona, e mi sono già affezionato al mio quartiere, con il suo mutevole calderone di bianchi e mori e neri, il suo coro a più strati di accenti esotici, i suoi bambini e i suoi alberi, le sue famiglie piccolo-borghesi che faticano, le coppie lesbiche, i negozi di alimentari coreani, il santone indiano barbuto in tunica bianca che si inchina ogni volta che ci incontriamo per la strada, i nani e gli storpi, i vecchi pensionati che arrancano a passettini sul marciapiede, le campane delle chiese e i diecimila cani, la popolazione sotterranea di rovistarifiuti senzacasa solitari che spingono i carrelli del supermercato lungo i viali e cercano bottiglie nella spazzatura. (157)

 

Non è un caso che tutti i personaggi ritrovino una parte di sé stessi in questo luogo abitato storicamente da persone eclettiche, artistiche, un po’ perse, forse, nel caos di una metropoli come New York. Brooklyn diventa in questo modo la follia ordinaria per eccellenza, uno spazio immaginato da Auster come un rifugio dalla perdita di sé, un luogo dove ritrovarsi e essere altro, uno spazio di opportunità per vivere identità -anche sessuali- diverse (Schaub 390).


La nipote di Glass ritrova sé stessa dentro la multiculturalità di Brooklyn, tanto quanto la figlia di lei, che si inserisce in un clima che, pur non avendo mai conosciuto prima, le sembra familiare, accogliente e caldo.


Da completa estranea alla vita della metropoli che era, si adattò in fretta al nuovo ambiente e si sentì quasi subito a casa nel quartiere. [...] Sentiva parlare in spagnolo e in coreano, in russo e in cinese, in arabo e in greco, in giapponese, in tedesco e in francese, ma invece di sentirsi intimidita o perplessa esultava di questa varietà di suoni umani. (197)

 

La leggerezza con cui Auster riesce a tessere le fila di questa storia rende il romanzo una “comedy” in cui la sofferenza umana è legata in modo naturale alla vita di tutti i giorni. È Auster stesso a chiarire che questa nostalgica prospettiva nei confronti dell’ordinario non è casuale, poiché era lui stesso ad avere bisogno di guardare alla vita da questa angolazione (Auster e Siegumfeldt 229). Forse è proprio questa sua necessità ad aver reso la rappresentazione di Brooklyn il più conforme possibile alle aspettative dei lettori e delle lettrici. Il ritratto urbano della metropoli, per quanto variegato e differenziato, ne esce un po’ appiattito dall’immaginazione del famoso “American Dream” (Schaub 397), che vede una New York e una Brooklyn sempre inclusive e multiculturali fino alla nostalgia di qualcosa che, forse, non è mai davvero esistito in questi termini.


Il romanzo non termina in modo prevedibile né coerente con la leggerezza con cui la storia viene narrata e forse è proprio il freno che viene tirato improvvisamente nelle ultime pagine a rendere il libro ancora più godibile. Visto dall’angolazione del finale, Follie di Brooklyn assume un ulteriore significato, ancora diverso ma allo stesso tempo coerente con gli altri possibili.

mercoledì 17 agosto 2022

agosto 17, 2022

Una favola dolceamara: "Klara e il sole" di Kazuo Ishiguro



Autore: Kazuo Ishiguro
Titolo: Klara e il sole, Einaudi 2022
Titolo originale: Klara and the Sun, Faber and Faber 2021
Traduzione: Susanna Basso

“Credo che a questo punto dovrei confessare che per me c'era da sempre un'altra ragione per voler stare in vetrina, una ragione che non aveva niente a che fare con il nutrimento del Sole o con l'essere scelti. A differenza di gran parte degli AA, a differenza di Rosa, avevo sempre desiderato vedere di più del fuori, e vederlo come si deve. Di conseguenza, quando la grata si alzò, la consapevolezza che adesso tra me e il marciapiede restava soltanto un vetro, che ero libera di vedere, da vicino e per intero, tante cose che avevo visto soltanto come spigoli e scorci, mi emozionò al punto che per un attimo quasi mi scordai del Sole e della sua gentilezza verso di noi.”

Klara è un androide dalle sembianze umane, più esattamente un Amico Artificiale (Artificial Friend, AF) che non aspetta altro se non essere scelta da un bambino e uscire dal negozio dove la troviamo all’inizio del romanzo. Nonostante Klara sia circondata da androidi più o meno simili, lei è speciale e non solo per la generazione di cui fa parte il suo modello. Klara ha un innato desiderio di vedere il mondo esterno e la capacità, più che rara per una come lei, di osservare attentamente ciò che la circonda: persone, comportamenti, emozioni, oggetti e funzioni. Klara non si lascia sfuggire nulla, cerca di comprendere il mondo che all’inizio del romanzo vede attraverso la vetrina del suo negozio. 

Quando la quattordicenne Josie decide di prenderla con sé, per Klara inizierà un’avventura non troppo pericolosa ma nemmeno priva di rischi per salvare ciò che rimane della sua nuova amica. Nel tempo passato a casa con lei, Klara impara tutto ciò che può sul mondo degli umani e le loro complesse emozioni, mentre questi ultimi cercano di comprendere a loro volta la complessità dell’androide.

Klara mette in crisi il modo in cui gli esseri umani si confrontano con l’altro, che sia umano o meno. Sia la madre che il padre di Josie si chiedono più volte come rivolgersi a lei, come trattarla quando si trova in casa, se considerarla un’aspirapolvere o un effettivo membro della famiglia. L’unica che sembra non avere dubbi è il centro del mondo dell’androide, Josie, che durante la sua inevitabile crescita tratta Klara come tratterebbe la madre, il padre o qualsiasi altro essere umano che le gira intorno.

Klara viene ripetutamente messa di fronte a dei sacrifici, più o meno importanti, da fare per salvare la fragile vita di Josie. Tali sfide pongono Klara sullo stesso piano di quegli umani che tanto provano a comprenderla e, in questo modo, sfida la loro umanità e mette in dubbio la loro capacità di amare e essere umani.

Il punto di vista di questa storia non fa che confermare la sfida posta agli umani di questo romanzo. È infatti Klara stessa la narratrice degli eventi, è il suo lo sguardo sul mondo e sulle persone che la circondano. Questo aspetto rende la narrazione decisamente ironica, poiché filtrata dagli occhi di qualcuno che scopre il mondo degli umani a poco a poco, per la prima volta, registrandone tutta la complessità e le contraddizioni interne. Tuttavia, la narrazione non è al presente come ci si potrebbe aspettare. Klara, infatti, ricorda quei momenti passati con Josie e la sua famiglia, gli istanti di attesa e trepidazione al negozio, la venerazione che lei e gli altri AA hanno del Sole (la cui lettera maiuscola lo rende quasi una divinità). La natura retrospettiva della narrazione del romanzo non fa altro che conferire a Klara un’aura sempre più simil-umana, poiché nell’atto nel narrare lei non solo ricorda ma cerca di decodificare e comprendere le memorie della sua vita da androide. 

Klara e il sole è un romanzo che si riesce difficilmente a inscatolare in una sola categoria. Nella fantascienza di Ishiguro c’è quel tocco di nostalgia di sentimenti puri e disinteressati e una dolcezza tale di gesti e parole che rendono la storia di Klara e delle persone che la circondano godibile su vari livelli. Klara e il sole si può leggere come un’allegoria delle modifiche genetiche, una distopia tecnologica con uno sguardo nostalgico al “mondo di prima”, o semplicemente una bellissima favola con un finale dolceamaro.

Klara e il sole ha la capacità di avvicinare chiunque abbia bisogno di una storia che riempia il cuore, anche solo per poco, di bontà, amicizia, amore e cura per il prossimo.

Per approfondire:

Alam, Rumaan. “Kazuo Ishiguro’s Deceptively Simple Story of AI”, The New Republic, 2021, https://bit.ly/3phZoYx
Canfailla, Sara. “In “Klara e il Sole” Kazuo Ishiguro torna a chiedersi cos’è che ci rende umani”, Il Libraio, 2021, https://bit.ly/3QDcn3n
Elleboro, Camilla. “Klara e il sole di Kazuo Ishiguro. Il lato oscuro del potenziamento”, Il Chaos, https://bit.ly/3w2BG6w
“Kazuo Ishiguro, Klara e il sole. Con Marco Balzano”. Rai Cultura, https://bit.ly/3SHtGSd
Lambruschini, Debora. ‘Klara e il Sole’: la meccanica dei sentimenti e dell'umano nell'ultimo, intenso romanzo del premio Nobel Ishiguro”, Critica Letteraria, 2021, https://bit.ly/3SMlwYE
Quinn, Annalisa. “Klara And The Sun' Asks What It Means To Be Human”, NPR, 2021, https://n.pr/3bPjAOD

lunedì 25 luglio 2022

luglio 25, 2022

Le ore in giro. Tra le librerie di Stoccolma e non solo

Quasi sei anni fa facevo il mio primo viaggio da sola e mi imbarcavo, tutta bardata e pronta per la neve, per Stoccolma. Piena di entusiasmo e un po' di paura - non nascondiamoci dietro a un dito - passavo giornate gelide ma meravigliose tra le strade della capitale svedese, esplorando scorci naturali e urbani di cui mi innamoravo e che mi facevano sognare una vita lì. Tra questi scorci, utilizzavo una buona parte del mio tempo per scoprire le librerie, svedesi e non, più belle e meno esplorate della città per capire le abitudini di lettura degli svedesi e il mercato libresco di Stoccolma. Un reportage di quel viaggio si trova in questo articolo, in cui vi racconto delle più belle librerie visitate e ne consiglio altre.

Sei anni dopo quel viaggio sono tornata a Stoccolma - stavolta in ottima compagnia - e ho rivisitato quelle stesse librerie e scoperte di altre. Con un occhio un po' più attento a quelle abitudini svedesi che avevo provato a comprendere anni fa, vi riporto qui sotto questa nuova esperienza di viaggio, consigliandovi qualche luogo in più da visitare nel caso capitaste a Stoccolma e dintorni. Buona lettura!


Alcune considerazioni...

Qualche premessa prima di iniziare a raccontarvi le librerie visitate. Come avevo spiegato sei anni fa nell'articolo segnalato poco sopra, il prezzo dei libri in Svezia è più alto rispetto all'Italia. Complice anche la situazione economica mondiale conseguenza degli ultimi due anni, non posso mentire dicendovi di aver speso poco per i libri che mi sono portata a casa - e di cui potete trovare un riepilogo in questo post su Instagram -.


Tuttavia, a fare un po' da contraltare a questa situazione c'è sicuramente l'esperienza di visitare delle librerie sullo stampo di quelle inglesi: ogni libreria svedese e, in particolare di Stoccolma, che sia di catena o indipendente ha una sua personalità. Prendiamo come esempio la catena di Akademibokhandeln, nata nel 1971 e con più di cento negozi sul territorio svedese. Ogni negozio, per quanto riconoscibile dal suo arredamento bianco e rosso, mantiene un'originalità nella proposta di libri tra le novità e i consigli dei librai. È davvero raro, dunque, fare la stessa esperienza di acquisto in due negozi diversi.


Si può forse ipotizzare che questa diversa esperienza di vita delle librerie svedesi sia dovuta alle diverse abitudini di lettura degli svedesi stessi. Come riportato da Statista, il 45% degli svedesi legge libri ogni giorno, il che dovrebbe spiegare perché abbia beccato moltissimi lettori sparsi in giro per la città tra metropolitana, autobus, musei e bar. 


Insomma, mi sembra un dato di fatto che nelle librerie svedesi si può fare un'esperienza diversa da quella italiana, sicuramente anche più rilassata. Questo particolare è dovuto alla presenza di moltissimi posti dove sfogliare liberamente i libri: poltrone, divanetti e sedie sparse in giro per i negozi. L'accoglienza del cliente-lettore sicuramente non manca in Svezia ed è una caratteristica di ogni libreria sul territorio, che siano di catena, indipendenti, di lusso o reader-friendly.


Le librerie

Science Fiction Bokhandeln - Västerlånggatan 48

La prima libreria di cui riconfermo l'unicità dopo sei anni è Science Fiction Bokhandeln, la libreria più magica di tutta Stoccolma. Specializzata in tutto ciò che può definirsi nerd-friendly, dalla fantascienza al fantasy passando per manga, anime, classici, giochi da tavolo e tutti i peluche, modellini di personaggi e gadget di cui non sapevi di avere bisogno. Ogni sezione della libreria è ben studiata - ovviamente la disposizione del 2022 è diversa dal 2016, potrete ben capire perché - e offre pochi libri in svedese e la maggior parte in inglese. Per quanto sia anche questa una libreria con più sedi in Svezia, qualsiasi lettore o lettrice non può evitare di visitarla almeno una volta. Situata nella zona vecchia della città, Science Fiction Bokhandeln offre un'esperienza davvero unica che non può non concludersi con una busta in stile Ritorno al Futuro per contenere tutti gli acquisti fatti.


ADLibris - Kungsgatan 15

Questa libreria è probabilmente la più grande che abbia visitato durante il mio soggiorno. Sono stata attirata dentro soprattutto grazie alla vetrina spettacolare che mi sono trovata di fronte mentre passeggiavo. Potete averne un assaggio sulla pagina Instagram della libreria che, pur essendo una piccola catena è uno spettacolo per gli occhi. La libreria si trova in un quartiere commerciale della città, su una via molto grande piena di locali e negozi di marca. Nonostante ciò, i prezzi rimangono nella media delle librerie svedesi.

L'altra particolarità di questo posto oltre alla grandezza, è la vastità di prodotti non libreschi che vengono venduti al piano di sotto, come gomitoli di lana e tutto il necessario per il cucito, l'uncinetto e il lavoro a maglia. Per quanto riguarda i libri invece, la maggior parte sono in svedese ma c'è anche una vasta sezione di libri in inglese al piano inferiore per i lettori internazionali. Ho anche trovato una rispettabilissima sezione dedicata alla serie dei Novellix, dei libricini per la maggior parte in svedese ma con qualche incursione inglese in alcune edizioni dei classici locali e inglesi. Come libreria di quartiere per una catena che non conoscevo devo dire di essere rimasta sorpresa dalla scelta che i librai hanno fatto per quel che riguarda i libri consigliati in giro per il negozio. 



Rönnels Antikvariat - Birger Jarlsgatan 32B

Su una delle vie più alla moda di Stoccolma, non lontano dalla biblioteca nazionale reale della città, si trova una delle librerie che non ero riuscita a visitare nel 2016. Tralascerò il fatto che per arrivarci quell'anno rischiai anche la vita, poiché un grosso pezzo di neve ghiacciata si staccò dai tetti soprastanti mentre cercavo di capire dove si trovasse la libreria, cascando a pochi metri dalla mia testa. Ma sono qui, viva e vegeta. Finalmente questa volta sono riuscita a trovare il negozio aperto e, senza rischiare la pelle, mi sono innamorata di questo posto.

La libreria vende sia libri di antiquariato che nuovo e usato. È molto grande, quasi infinita ai miei occhi e decisamente labirintica. Dopo lo spazio antistante l'ingresso con libri in svedese e qualche incursione di libri in inglese, il negozio continua in diverse stanze ricavate, alcune più grandi e altre più piccole che ospitano il doppio dei libri divisi per argomenti. Gli scaffali, nemmeno a dirli, sono pieni zeppi di libri dal pavimento al soffitto. Nascosta in un angolo c'è una scala che porta a un piano inferiore, la parte più labirintica della libreria, una specie di magazzino visitabile con una quantità di libri spaventosa. Questa è davvero una delle librerie più imperdibili di Stoccolma dopo la Science Fiction.




Le librerie di Uppsala

Akademiebokhandeln

In una delle vie centrali della cittadina universitaria si trova un altro negozio di questa famosa libreria di catena svedese. L'immagine di copertina di questo articolo è presa proprio da questa grande libreria, divisa su due piani e che vende sia libri in svedese che in inglese. La parte in inglese, in particolare, è davvero vasta, al contrario di quello che succede in altri negozi di questa catena. Spesso in Svezia è facile trovare promozioni molto vantaggiose sui libri in vendita, come quattro libri al prezzo di tre, una delle tante presenti in questa libreria di Uppsala. È qui che ho trovato le Critical Editions della Norton che mi sono portata a casa.




L'interno dell'Uppsala English
Bookshop

The Uppsala English Bookshop

Una delle sorprese più belle del viaggio in giornata a Uppsala è stata proprio questa libreria. In uno spazio ristretto ma ben riempito, il negozio vende esclusivamente libri in inglese dalla narrativa alla saggistica, spaziando da argomenti di politica, critica letteraria, sociologia, psicologia e molto altro. Se avessi potuto, mi sarei portata a casa molto di più di quello che ho preso effettivamente, perché c'era davvero moltissima scelta per tutti i tipi di lettori. Ad adornare gli spazi di questo posto, le sportine di tela e i poster, sia appesi al muro che incorniciati, rendono questa libreria un rifugio speciale non solo per gli studenti che vivono nella città ma per qualsiasi visitatore curioso.



Consigli extra per viaggiatori curiosi

Downton Camper Café - Drottninggatan 28. Nella via che porta alla città vecchia potete trovare un bar molto ampio dove fare una svedesissima fika paus con caffè e dolci e intrattenervi a giocare a scacchi o dama sui tavoli di legno messi a disposizione dei clienti. Io, ovviamente, ho perso miseramente a entrambi i giochi.


John Scott's - Kungsgatan 37. Vicino a ADLibris potete trovare questo particolarissimo pub in stile inglese con una sala dedicata ai reali britannici e con una parete piena di libri antichi - veri e finti. Nel caso vi stufaste di birre e altri alcolici, il pub offre anche una sala da biliardo e, udite udite, una sala dedicata al bowling. Esatto, tra una birra e l'altra potete farvi qualche tiro.


Kungliga Biblioteket - HumlegÃ¥rdsgatan 26. La biblioteca nazionale svedese ospita ogni libro che viene pubblicato in Svezia. Oltre all'edificio storico, la biblioteca si sviluppa verso il basso in una struttura sovrastata da un soffitto di vetro che illumina le sale lettura a vista. Al secondo piano - verso il basso - della struttura più moderna è collocata la "Bibbia del Diavolo" o "Codex Gigas", un testo risalente al XII secolo e il manoscritto medievale più grande che esista al mondo. L'ingresso alla biblioteca e la visita al manoscritto sono completamente gratuiti.

giovedì 9 giugno 2022

giugno 09, 2022

Tra perdita e appartenenza di sangue. "Uno di noi" di Larry Watson per il Bright Lights Bookclub


Autore:
Larry Watson 

Titolo: Uno di noi

Titolo originale: Let Him Go

Edizione: Mattioli, 2021

Traduzione: Nicola Manuppelli


[...]


Con il primo romanzo di Watson tradotto in Italia, Montana 1984, la regione occidentale emerge come protagonista sin dal titolo e con Uno di noi, sebbene non immediatamente riconoscibile, il paesaggio roccioso del Montana è lo scenario principale del romanzo. A riempire la cornice paesaggistica che, come argomenta il traduttore, non ha solo una funzione di contorno bensì dà ritmo alle azioni dei personaggi, è la storia di Margaret e George Blackledge (letteralmente la parte in piano di una parete rocciosa, da “ledge”). I due coniugi hanno perso il figlio in un incidente a cavallo e vengono privati anche del nipote Jimmy, l’unico che possa mantenere vivo il ricordo del defunto James.


Il romanzo si apre nel settembre 1951, mentre George sta tornando a casa dopo il lavoro. Tuttavia, l’uomo trova una casa spoglia, svuotata da Margaret in procinto di partire. La donna è decisa a seguire la nuora Lorna, risposatasi con un tale Weboy il cui comportamento violento nei confronti di Lorna e del piccolo Jimmy preoccupano Margaret.


Cristo, Margaret. Vuoi davvero farlo?

Sì. Gli occhi di Margaret Blackledge non hanno perso la loro capacità di sorprendere: grandi, liquidi, di un blu intenso e incastonati in un viso le cui superfici e angoli sembrano scolpiti nel marmo.

Con me o senza di me?

Con te o senza di te. È una tua scelta.


La fermezza della donna richiama non solo il suo viso marmoreo ma anche il suo carattere deciso. Determinata a ricongiungersi con il nipote, la donna parte con il marito, meno impaziente di lei a mettersi nei guai, in un viaggio scandito dai ritmi della natura e dal duro e freddo paesaggio tra North Dakota e Montana. Oltre a rendere il paesaggio centrale in una missione dai risultati più che incerti, Uno di noi rivela la diversità dei rapporti famigliari e mette in dubbio la facilità con cui il sangue possa determinare l’appartenenza a una famiglia piuttosto che a un’altra. Il viaggio dei Blackledge li porterà a uno scontro – tanto ideologico quanto letterale – con il famigerato clan dei Weboy.


L’elemento che scuote le sicurezze di Margaret è un’altra capo famiglia, Blanche Weboy, con la quale la donna mette in scena un vero e proprio teatrino in cui le regole sociali diventano un gioco di ruolo a cui solo Margaret sembra davvero credere. L’astuzia violenta e criminale di Blanche e della sua famiglia porterà al ribaltamento totale delle regole sociali che Margaret e George conoscono, minando l’esito positivo della loro missione e catapultandoli in una situazione dai risvolti tragici. 


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