martedì 28 febbraio 2017

Ricordarci di noi: "Tutto quello che non ricordo" di Jonas Hassen Khemiri

Buongiorno e buon inizio settimana lettore! La recensione di oggi è su una nuova uscita di gennaio, un romanzo di un autore che continua a sorprendermi sempre di più. Ne approfitto per segnalarti la recensione di Una tigre molto speciale (Montecore), dello stesso autore, fatta qualche mese fa.
Buona lettura! 

Autore: Jonas Hassen Khemiri
Titolo: Tutto quello che non ricordo
Titolo originale: Allt jag inte minns
Lingua originale: svedese
Edizione: Iperborea 2017
Prezzo di copertina: € 17,50
Traduttore: Alessandro Bassini
Tempo di lettura: 14/01 - 23/2/2017

Recensione: 
Abituarsi nuovamente alla scrittura di Khemiri non è facile, soprattutto dopo mesi in cui ho letto tutt'altro. Sto capendo piano piano quanto il periodo in cui si legge un libro possa influenzare la nostra opinione su di esso. Sarà un periodo molto strano allora, perché durante la lettura di questo romanzo mi è sembrato di imbattermi in continue verità spiattellate senza troppi giri di parole, verità che hanno colpito dritte nel profondo della mia sensibilità.


Tutto quello che non ricordo è la storia di Samuel e di chi lo ha conosciuto prima che morisse in un incidente d'auto. Che si tratti di suicidio o di un brutto scherzo del destino non è troppo importante per lo scrittore che raccoglie le memorie di un ragazzo che conosce a malapena. Chi lo conosce davvero, invece, sono Vandad, il suo amico, Laide, la sua ex fidanzata, la madre e la nonna malata di Alzheimer. Le memorie, però, si scontrano continuamente tra loro rendendo difficile un possibile incasellamento d'identità.

Mi è sembrato, infatti, che il libro tratti una serie di argomenti, tra cui proprio il problema di identità. 

Chi siamo davvero? Come facciamo a scoprirlo e a mantenere noi stessi intatti una volta scoperto? Samuel vive, infatti, il terrore dell'oblio: dimenticarsi una conversazione, un'esperienza o il proprio passato è l'incubo che lo tormenta da sempre. La situazione è sicuramente aggravata dalle condizioni della nonna del ragazzo, che gli ricordano quanto sia facile dimenticare chi siamo, da dove veniamo e qual è il nostro passato.  

Ricordare è fondamentale per Samuel e forse anche per coloro che si ricordano di lui, come amico, fidanzato, figlio, nipote o conoscente. Il romanzo, probabilmente, chiede implicitamente a noi lettori se sia più importante ricordare o essere ricordati e io non ho saputo trovare risposta. Se l'azione del ricordare è anche ricordare noi stessi, allora per quale motivo bisogna essere ricordati dagli altri? 

Laide e Vandad raccontano di come fosse quasi l'ossessione del ragazzo rimanere impresso nella mente di qualcuno. Esistere, allora, è possibile solamente attraverso la memoria che gli altri hanno di noi anche se il rischio è dimenticarsi di "ricordarci da soli".


"Sai come si fa ad assicurarsi un posto nei ricordi di qualcuno?"
"Beh, immagino ci siano diversi modi. Ma un buon sistema è forse provocargli un'emozione intensa, no? Le cose che ricordiamo di più sono quelle legate a sentimenti forti."
"Forse. Ma c'è un modo più semplice."
"E sarebbe?"
"Farsi associare a una routine quotidiana"


Sicuramente collegato alla paura dell'oblio è la banca delle esperienze, un modo per chiamare il desiderio di Samuel di accumulare più "vissuti" possibili. Queste, infatti, dovrebbero quasi allenare la pessima memoria che il ragazzo dice di avere, ma mi è sembrato che paradossalmente gliene facciano perdere sempre di più. 

Le voci che si mescolano nel dare un'immagine chiara del ragazzo sortiscono l'effetto contrario, quasi a sottolineare come la realtà stessa sia tanto frammentaria e mai completamente comprensibile, proprio come l'ultimo gesto di Samuel. 


"Eravamo io e Samuel a stare insieme, non lui e i miei amici, o lui e mia sorella.
In realtà adesso -col senno di poi- mi chiedo se non fosse una specie di strategia 
per prolungare la nostra felicità. In un certo senso, forse, sapevo che
saremmo diventati meno noi al momento di scontrarci con il mondo esterno."

Sono d'accordo con chi afferma che il gioco narrativo di Khemiri  sia molto più simile al teatro che allo story telling tipico di un romanzo, ed è una strategia riuscita benissimo: dall'inizio alla fine abbiamo l'impressione di star ascoltando i personaggi, non di leggerli distaccatamente da una pagina di carta. E quando meno ce lo aspettiamo, una sorpresa narrativa finale non fa che aumentare la portata di confusione perpetrata fin lì dall'autore. 

E se in Montecore Khemiri si era inserito all'interno della storia implicitamente, dando al protagonista non solo il suo nome ma anche la sua storia, in Tutto quello che non ricordo ritorna di nuovo. Stavolta non si tratta del suo lato familiare e personale bensì della parte di scrittore ed è molto facile accorgersi della sua entrata in scena.

E' comunque complicato trattare in maniera esaustiva di questo libro, proprio per la ricchezza di temi che ci propone, come l'amore, l'amicizia o la scrittura. 

Sicuramente l'autore ha dato nuovamente dimostrazione della sua capacità di ritrarre la realtà senza mezzi termini, di sminuzzarla fino all'osso e donarla ai lettori così com'è, pronta per essere, forse, ricomposta.

Spero che la lettura sia stata di tuo gradimento, mi raccomando, fammi sapere se hai letto il libro!
Ci vediamo al prossimo articolo,

Francesca, Le ore dentro ai libri.

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